
Ecco qui! Detto e fatto! Il regista ha chiesto un angolo tutto suo e Mirco, nonostante le mie interferenze che stanno mettendo a dura prova la sua pazienza, lo ha già fatto.
A distanza di qualche settimana dal debutto di un più o meno neonato gruppo di persone, mi trovo a fare alcune riflessioni. Torno indietro e osservo. Cerco di descrivere le mie emozioni e la parola che le può racchiudere tutte è “agrodolce”.
Comincio a scorrere col pensiero i momenti piacevoli trascorsi con gli altri del gruppo e sento ancora l’energia di attimi che è difficile descrivere perché sempre diversi, magicamente intensi.
Rivedo le peculiaritá di ogni personaggio ed il temperamento delle persone che lo interpretano, le difficoltà, tante, perché il teatro non è un affare da poco, secondo me il teatro é:
mettersi in gioco, tenacia, follia, è sbagliare perché si è umani, sbagliare perché nessuno è una macchina, sbagliare imparando, perché nessuno nasce attore, accettare le critiche costruttive e gli umori degli altri, è piangere quando sei coinvolto, è ridere per stupire, è accettare i ritardi, i propri e quelli degli altri, i ritardi alle prove, i ritardi nel dire le battute, è sorvolare quando si fanno certi discorsi che sono detti solo per ferire o per invidia, o per ignoranza, o per arroganza …
Il teatro è riconoscere i propri limiti e le proprie debolezze, anche quando sembra di non averne, anche quando si pensa di essere arrivati, di essere “attori”.
Rivedo ancora l’entusiasmo di chi sente la forza di un gruppo, di chi parte con convinzione, di chi non conosce eppure si fida, di chi non osa fare domande perché attende lumi o perché è timido e si vergogna, di chi vorrebbe dire la propria ma la sua voce è sovrastata da chi ce l’ha più alta o da chi la sa più lunga, forse ….
Rivedo i visi e le espressioni di chi accetta in silenzio ritmi che stancano, che innervosiscono …
Eppure si è andati avanti, eppure si è arrivati in fondo, eppure l’applauso c’è stato, fosse anche quello del parente o dell’amico che è pur sempre una dimostrazione di affetto, è un modo di dire al “proprio” attore: sei stato bravo, continua così, sei forte!
Questo gruppo merita il rispetto, il plauso, le lodi che si è guadagnato anche per il solo fatto di aver accettato tutto, senza tirarsi indietro, senza rinunciare, ma rinunciando a tante altre piccole cose, che seppur piccole, sono parte della vita di ognuno e vanno considerate.
Il teatro è amore per la vita e non é pura competizione tra compagnie, tra attori. Non è luogo di pregiudizio o giudizio, non è perdita di tempo.
Il teatro è amore per l’altro qualunque età anagrafica, età “teatrale”, età “mentale” abbia, ma è soprattutto amore per se stessi. Il teatro è maturità.
Tutto questo semplicemente per rinnovare i miei ringraziamenti a tutti coloro che assieme a me ce l’hanno messa tutta, a prescindere dal risultato, che, secondo me, visti i presupposti, i tempi e le questioni di vita di ognuno, è stato semplicemente grandioso.
Ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale.
Stefania, umilmente in arte Julie
dei colori ancora freschi, della colla.Il palco di un teatro, anche piccolo, vecchioe dimenticato dalla gente, è un insieme di odori.Forti e acri.Quando il palco è vuoto e le assi sonolibere dai chiodie dalle scenografie si può veramente sentire l'odoredello spettacolo.Mi tolgo le scarpe, cammino sulle assi, sento lepiccole schegge dell'ultima frettolosa partenza,dei momenti finali di un successo o di un disastroannunciato.Le assi si muovono, sono vive, ma cos'è che le rende vive,energiche?Perchè le assi del pavimento in legno, magari pregiato,di un appartamento non sono così vive, così forti,così piene?E' come se le assi riuscissero a raccoglieree trattenerela forza dei passi, del sudore, delle urle, delle lacrime.L'odore del legno rappreso di vita e di dolore aspetta soloqualcuno che lo tocchi, che lo riscopra.I miei piedi sono la parte che mi tiene a contatto con la terra.Amo correre, camminare, girare avanti e indietro sul palco.E' l'unico posto che a sessanta centimetri di altezza riescea mantenere forte e costante il legame con la terra.Accendiamo le luci, indossiamo i vestiti di scena, montiamole scenografie.Discutiamo, ripetiamo le nostre battute, ci arrabbiamo edesplodiamo di gioia dopo il primo applauso.Quando ce ne andiamo loro restano. Le assi di legno.Loro ricordano.Loro sanno se i nostri piedi erano contratti dallapaura dentro le scarpe.Loro sanno se stavamo sudando freddo cinque minuti prima dientrare in scena.Loro sanno l'acqua che abbiamo bevuto per cercare di liberarela gola dal senso di soffocamento, di ansia.Loro hanno sentito le vibrazioni della nostra voce quandorecitavamo quel passaggio che ci lega ad altri ricordi, ad altridolori.L'odore del legno di un palco.Sessanta centimetri più in basso non lo senti. Non puoi.Lassù sei in cima al mondo. E negli abissi più profondi.Nicola Biada